La traduzione del Talmud Babilonese
segna la sua terza tappa con la stampa del Trattato Ta’anit (Firenze,
Giuntina, 2018, pagine 332, euro 50), che significa “digiuno”. Quattro i capitoli:
le piogge e i loro tempi, quando stabilire digiuni nel caso non ne cadano o non
ne cadano abbastanza, o comunque non nei momenti in cui serve; le preghiere e
gli usi propri dei giorni di digiuno; le circostanze in cui si fa digiuno; i
digiuni fissi in ricordo di eventi specifici. Nella religione ebraica
l’importanza del digiuno viene sempre ribadita e tramandata alle nuove
generazioni perché «il digiuno, come forma rituale ebraica, esprime la
contrizione di fronte a una disgrazia che ha colpito o minaccia di colpire la
collettività o un singolo. È uno strumento di teshuvà, di pentimento, di
ritorno al Signore. Con ciò, l’uomo sancisce che quanto avviene non è casuale,
bensì opera di Dio e conseguenza delle nostre azioni».
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