Un salto a Cana, con il Vangelo di oggi, sfogliando il
diario di uno dei viaggi fatti in Terra Santa.
L’insegna ‘Wedding Wine’ è appesa un po’ dappertutto. I
negozi di souvenir qui non campano con i rosari e con le bustine di terra santa
ma con il vino, la bevanda che ricorda il primo miracolo di Gesù. Lo comprano
quasi tutti perché sarà bello festeggiare qualche evento al ritorno con il vino
di Cana. Oppure c’è quella coppia di amici che giusto giusto si sposa tra un
paio di mesi, dopo anni di dubbi, un figlio ormai grande e forse un desiderio
da tempo tenuto nascosto. Quale regalo di nozze più bello, allora, regalare il
vino che berranno durante la loro celebrazione? Anche se – ci dirà poi Carmine,
la nostra guida – nel territorio di Cana di fatto non si produce tutto questo vino
e quello nelle botteghe per turisti e pellegrini è importato.
Il paese non è grande e la pietra bianca che riveste
strade, case e chiese ricorda molto i nostri borghi del Sud. Arriviamo alla
chiesa delle “nozze”, del miracolo della trasformazione dell’acqua in vino. Dentro troviamo una chiesa semplice che però presto
si “trasforma” nell'immaginario di ogni coppia che entra e l'emozione è palpabile. A Cana si rinnovano
infatti le promesse matrimoniali e ciascuno può chiudere gli occhi e ricordare
la navata piena di fiori e il tappeto a terra, può ricordare il velo bianco o
le lacrime della mamma, l’emozione dell’amico di una vita o l’organo che suona
l’Ave Maria di Schubert.
Si benedicono e ci si scambia ancora le fedi promettendo
di nuovo: nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia… E ora che al
posto dell’acconciatura del parrucchiere c’è qualche capello bianco e che gli
anelli stanno un po’ stretti nelle mani gonfie per il caldo e per gli anni,
capisci meglio che cosa tutto questo significava. E torni a piangere come quel
giorno di dieci, quindici, trent’anni prima.
E poi ripensi a Maria. Altro che la donna remissiva che
vediamo nelle candide raffigurazioni di Raffaello o nelle Madonne improbabili
che si portano nelle processioni dei paesi. “Non hanno vino”, dice sbrigativa
al Figlio e ce la immaginiamo non implorante ma decisa, come lo sono le madri
che chiedono qualcosa di importante ai loro figli. E con lo stesso piglio si
rivolge ai camerieri: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Qualsiasi. Come anche
riempire quelle enormi anfore di pietra, che vediamo nella cripta della chiesa
di Cana. Roba da spezzarti la schiena perché ciascuna porta da ottanta a
centoventi litri. E quel Gesù, ancora sconosciuto alla gente, in fondo sembra
matto come la madre perché chiede di riempirle d’acqua e di portarle a colui
che dirigeva il banchetto per assaggiarla. Ma quei servi lo ascoltano, hanno
fede e fanno una cosa che è tutt’altro che ragionevole. Riempiono le giare
d’acqua che poi diventa davvero vino, “il vino buono”, come leggiamo nel
vangelo di Giovanni, che di solito si dà all’inizio della festa. Vedi le anfore
e pensi: quanta fede per caricarsi un peso che all’evidenza di tutti era una
follia.
Con le nostre bottiglie-souvenir, di vino che viene da
chissà dove, lasciamo Cana tutti con il sorriso sulla bocca e pensiamo a quanto
sia bello seguire un Cristo che ha deciso di “rivelarsi” la prima volta non tra
gli incensi di un tempio o in una situazione di dolore ma in una chiassosa
festa di nozze. A Cana di Galilea.
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