Parla di pane e ricorda le sberle. “Quanti ceffoni ho
ricevuto da bambino per aver capovolto la pagnotta sul tavolo oppure, una volta
spezzata, per non averla tenuta davanti a me in modo corretto”. Enzo Bianchi, 72 anni, priore della comunità
di Bose, riordina in un’intervista con ‘Famiglia Cristiana’ ricordi
lontani. “Dopo la guerra - confida - ho conosciuto tempi di autentica penuria.
L’educazione che ho ricevuto mi ha portato a venerare soprattutto il pane”. Ed
è proprio questo alimento in primo piano nei suoi libri Il pane di ieri
e Spezzare il pane, entrambi pubblicati da Einaudi. “Non a caso - spiega
Bianchi - l’inizio della cultura si registra nello spazio del mangiare. Non a
caso il linguaggio nasce proprio quando attorno a una pietra si trovano uomini
e donne determinati a nutrirsi insieme, smettendola di pascersi da soli, come
bestie. E non a caso garantire il cibo agli altri misura il grado di relazione
tra le persone, è un esempio concreto di fraternità”.
“Dare da mangiare
agli affamati non è solo in testa alla lista delle opere di
misericordia corporali”, prosegue Bianchi: “È anche la prima azione che Gesù
descrive nel giudizio finale collocandola in cima ai gesti che garantiscono la
salvezza. Dal cibo dipende la vita dell’ uomo. Quindi non dare il cibo a
qualcuno o far finta di non vedere quando qualcuno non ha cibo, di fatto è comportarsi da assassini, perché è
permettere la morte del fratello. Il cibo è tale quando è condiviso,
altrimenti è veleno per chi se lo accaparra e morte per chi non ce l’ha. La
conversione cui siamo chiamati in questo anno giubilare non può prescindere da
questo”.
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