Aspetto austero, una vita ricca di
episodi ai limiti della leggenda, una devozione popolare che qualche volta
sconfina nella sagra. Il primo impatto con san Francesco di Paola per me è
stato questo: un personaggio importante della Chiesa ma così lontano negli
anni, mezzo millennio, nelle scelte di vita, esageratamente spartane, e
confinato – come erroneamente pensavo – in quella Calabria che lo ha visto
nascere e che lo ha abbracciato subito come il “sant'uomo”. Poi è arrivata la
curiosità perché se si gira il Sud, ma non solo, non manca mai una chiesa o una
cappella dedicata al santo paolano. Perché non c’è famiglia che non abbia un
Francesco in casa, nome che si tramanda da generazioni proprio per onorare il
frate. Perché lì dove è venerato “supera” nei cuori della gente l’altro
Francesco, il poverello d’Assisi, uno dei santi più amati dalla cristianità. Così
è cominciato qualche anno fa il mio viaggio sulle tracce di san Francesco di
Paola. Eremita, taumaturgo, difensore dei poveri, ambasciatore di pace, vicino
ai più deboli ma capace di interloquire con i potenti. Tutto questo è stato san
Francesco del quale Papa Wojtyla disse: “Lui piccolo, anzi minimo, meritò di
essere maestro dei grandi della terra”.
San Francesco di Paola e il cibo, tanti i collegamenti,
dal miracolo del pane alla scelta del ‘quarto voto’, ovvero il regime di
Quaresima perenne per i suoi Minimi. Ma erbe e cibi erano anche la sua ‘copertura’
per fare i miracoli.
Ecco un passo del mio libro “Francesco, un nome un
destino”, scritto nel 2007, nel cinquecentenario dalla morte.
L’orto dei miracoli
Tisane, stracotti, infusi, impacchi: San Francesco voleva
in qualche modo ‘giustificare’ la sua capacità di fare miracoli e quasi mai per
guarire una persona utilizzava la semplice imposizione delle mani. Prendeva le
erbe della sua terra e le utilizzava come ‘tramite’ tra cielo e terra per le
sue guarigioni suggerendo alla gente di stenderle sulla parte malata o di berne
l’infuso. In alcuni casi mandava ai malati, come rimedi per guarire, anche
frutti, radici, biscotti, pane secco. A tutti una cosa però la ricordava: “È la
fede nel Signore che guarisce”. E infatti alcuni prodigi avvenivano ancor prima
che la gente si accingesse a preparare il medicamento consigliato da Frate
Francesco.
Il Santo si servì non solo delle erbe che crescevano
spontaneamente nella terra calabrese. Coltivò presso l’eremo di Paola un vero e
proprio orticello dove teneva alcune delle piante che utilizzava per guarire.
La gente lo sapeva e lo chiamava l’ “orto dei miracoli”. Molti andavano da lui
con grande fede e non si chiedevano come mai quelle semplici erbe riuscivano a
fare miracoli. Ma lo scettico di turno c’era sempre, perfino tra i suoi frati.
E Francesco rispondeva che, a chi aveva fede, Dio manifestava anche la virtù
delle erbe. I medici dell’area circostante il convento di Paola, invece quando
la fama di taumaturgo di Francesco cominciò a diffondersi di paese in paese, si
adirarono veramente contro quel frate che toglieva loro clienti senza nessuna
conoscenza della scienza medica. Lo chiamavano “erbaiolo” e assoldarono anche
un frate francescano affinché riuscisse a dimostrare e a denigrare l’eremita di
Paola. Ma l’impresa non riuscì perché il fraticello altro non poté fare che
constatare la santità e la reale capacità di fare miracoli di Francesco e,
secondo quanto riporta la tradizione, pentito gli si gettò ai piedi,
chiedendogli perdono, per essersi prestato a questa operazione.
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