I 'MACCARONI' DI OMAR

La ciotola di ceramica non è sopravvissuta al volo Tel Aviv-Roma. Avvolta nella carta, nelle buste, e nei panni, comunque è arrivata sbeccata. Un piccolo tuffo al cuore perché dentro quel recipiente con i toni blu mediorientali già pensavo di offrire la mia versione di humus e falafel in una cena con amici. E perché in quella ciotola c’è la storia di Omar. Lo chiamerò così.
Scendendo dalla porta di Jaffa al mercato arabo il suo ‘negozio’ è il secondo a destra. Venerdì mattina presto, i banchi quasi tutti chiusi. Lui, in camicia e cravatta nonostante i 38 gradi di Gerusalemme, un distinto settantenne, sta sistemando la merce. Un tripudio di ceramiche da mettere a tavola ma anche in bella mostra. Mi fermo, guardo e lui mi anticipa in un inglese impeccabile: “Sono ceramiche artigianali, armene, non sono cinesi”. Chiedo il prezzo, risponde, faccio per contrattare, ma ancora mi anticipa: “Lei è la prima cliente di oggi, le farò un buon prezzo”.
E mentre mi aggiro nella bottega ‘due metri per due’, come tutte quelle del mercato della città vecchia di Gerusalemme, chiedo: “Come mai tutti chiusi?”. “E’ venerdì”, mi ricorda, il giorno in cui i musulmani vanno alla Spianata delle Moschee, a frotte, per pregare, ma anche per stare insieme e fare acquisti alle bancarelle che si aggiungono, fuori dalla Spianata, a quelle delle viuzze completamente ‘occupate’ dal mercato. “Qui, tra noi commercianti, i cristiani saranno cinque, sei, sette. Il resto sono musulmani”, dice per spiegare come mai nessuno ha aperto bottega. Poi aggiunge: “Anch’io sono musulmano ma penso che abbiamo tutti lo stesso Dio. Credo che sia possibile, io e lei, vivere in pace, non come invece credono quelli del Daesh americano”. Lo definisce proprio così.
E mentre incarta il vasellame racconta la sua storia: “Ho 68 anni, sono qui da sempre. Gli inglesi? Io già c’ero. Israele? Noi eravamo già qua”. Viene da una famiglia benestante ma ora vive solo del suo lavoro. “Mio padre, un po’ fuori la città, aveva sette case. Sette – e mostra il numero con le dita -. Poi sono arrivati e hanno detto: queste non sono più vostre. Ma se io mi prendo la sua giacca lei non reagirebbe?” chiede facendo il gesto di tirare un pugno. “Avevamo anche tanti terreni. Hanno detto che servivano per fare l’aeroporto, e poi anche un parco pubblico. E quindi anche quelli non sono stati più nostri. Why? Perché?”. Questa anche è Gerusalemme, con le sue domande senza risposta.
La busta con il vasellame per la mia tavola è pronta. Dice di aver fatto un buon prezzo, chissà. Fa per salutare. “Ma lei da dove viene?”. “Italia, Roma”. “Ah, maccaroni!”, esclama. Abbozzo un sorriso ma non lo convinco. Non mi piace che il nostro Paese sia identificato sempre solo con la pasta. Capisce il mio disappunto e dice: “Ma anche mia moglie cucina sempre i maccaroni, mi creda”. Da buon musulmano non mi stringe la mano, sono una donna. Fa solo un cenno con il capo e saluta. “Ma’assalama”, arrivederci, la salute sia con te.


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