“Mio caro
Malacoda, la maniera sprezzante con la quale nella tua ultima lettera hai
parlato della gola come di un mezzo per accalappiare le anime dimostra soltanto
la tua ignoranza. Una delle grandi conquiste degli ultimi cento anni è stata
quella di ottundere la coscienza umana su quell'argomento, tanto che ora ti
sarà difficilissimo sentire una predica su questo tema o trovare una coscienza
che ne sia turbata in tutta l'Europa, presa in lungo e in largo. È stato in
gran parte l'effetto dell'aver noi concentrato tutti gli sforzi sulla golosità
di Delicatezza, e non sulla golosità di Eccesso”. Comincia così la
diciassettesima lettera di Berlicche a suo nipote Malacoda, apprendista diavolo
tentatore.
Il vizio della gola dunque cambia: se una volta
l’immagine era quella della tavola eccessiva, dei bagordi, dell’indigestione,
oggi è quella del cibo ricercato a tutti i costi. E' una tavola sulla quale
si fanno piovere solo critiche distruggendo la convivialità. “Ma che cosa
importa la quantità – si chiede infatti il diavolo istruttore nel bellissimo
libro Le lettere di Berlicche di Clive Staples Lewis, pubblicato nel 1942 ma
sempre così attuale -, se riusciamo a usare della pancia di un uomo e del suo
palato per produrre litigi, impazienza, mancanza di carità e preoccupazione per
il proprio io?”.
L’immagine è quella di una donna che “è un vero terrore per
gli ospiti e per i domestici”. Mangia poco ma è pretenziosa e “non riconoscerà
mai come golosità la sua determinazione di avere ciò che vuole, benché possa
recare grande disturbo agli altri”. La sua fissazione è che le cose debbono essere
fatte “come si deve” ma nessuna cameriera o amica è mai all'altezza.
Assolutamente da leggere. Anche perché ci si sentirà meno
in colpa davanti ad una ricca carbonara.
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