L’ispirazione è stata quella del Maquis, la piccola
locanda gastronomica comune in Africa occidentale, a metà tra il ristorante e
il chiosco ambulante, generalmente aperto sulla strada, in cui puoi fermarti e
bere del tè o mangiare qualche piatto semplice. Ora, a Roma la parola Maquis
è diventata Makì, e gli chef sono i richiedenti asilo e rifugiati che sono
nella Capitale e provengono da Paesi differenti, come Costa d’avorio, Togo,
Senegal, Guinea, Mauritania, Mali come Sudan, Eritrea, Etiopia o Nord Africa,
ma anche Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh ecc. Persone che già
nel paese di origine sapevano cucinare come cuochi professionali, ma anche
cuochi amatoriali, capaci di cucinare in famiglia o per le feste per un gran
numero di persone senza alcuna difficoltà. Così nascono degli eventi in cui a
Roma è possibile assaggiare piatti etnici.
Ogni volta il gruppo sceglie chi sarà lo chef e l’aiuto
cuoco, si decide insieme il menù da proporre, poi si cura l’organizzazione e la
diffusione dell’evento. Il ricavato netto delle entrate va direttamente a chi
ha lavorato alla preparazione del cibo. Le loro storie sono raccontate dal sito
“Makì, sapori del mondo”. “Vengo dalla Costa d’Avorio – racconta una
delle chef -. Non sono una cuoca professionista, sono molto di più! Ho sempre
amato cucinare e non importa per quanto: dieci, venti, cento, duecento persone!
Nella mia famiglia ci siamo tramandati i segreti più importanti della cucina,
cucinavamo per tutto il villaggio, in pentole così grandi che potevi
comodamente sederti dentro! Il mio pezzo forte è l’attieké con salsa di cipolla
e pesce alla brace, magari con un bicchiere di bissap o di succo di ananas e
zenzero. I sapori della mia terra mi tengono legata ad un Paese martoriato da
divisioni, guerre e politica corrotta ed i miei piatti vogliono essere un segno
di riconciliazione”.
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