Non avrebbe mai pensato (né desiderato) di diventare un
giorno Papa. Lui, nato in una tranquilla Baviera, una vita sui libri, è stato
scelto come pontefice a dispetto di ogni suo progetto. E ora dice con libertà
quanto sia stato “un fardello”, la sensazione di “una ghigliottina”, a causa
della sua indole, essere stato eletto Capo della Chiesa cattolica. Ma il Papa
emerito Benedetto XVI ha anche un ricordo bello di quei primi giorni con la
talare bianca: “Un pranzo in Santa Marta, la casa degli ospiti del Vaticano,
con mio fratello, l’intera famiglia, gli amici. Fu un momento molto commovente”.
Lo rivela nel bel libro-intervista con Peter Seewald, “Ultime conversazioni” (Garzanti),
uscito oggi in contemporanea mondiale.
Il Papa si apre con naturalezza parlando di tutto, dalla
sua insofferenza, quando era Papa, per le visite dei politici, allo Ior che era
"un punto di domanda", dal fatto che non si aspettava l'elezione di
Bergoglio al suo rapporto con Wojtyla. Passando anche per dettagli più intimi
come il fatto che ami fare la 'pennichella', abitudine che ha preso da quando è a Roma, sia da anni cieco da un occhio o cosa voglia che
sia scritto sulla sua lapide.
Ride durante la conversazione, diverse volte. Come quando
racconta della zia che fece 'marameo' ai nazisti che passavano su un treno. Ma
anche piange, quando ricorda le campane che lo salutarono nel momento in cui,
dopo la rinuncia, lasciò in elicottero il Vaticano per ritirarsi a Castel Gandolfo.
Parla della rinuncia, delle riforme, ma con tenera
semplicità anche del suo rapporto con Dio. Bello. Da leggere.
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