Molti e persino violenti furono i contrasti
nell’Irlanda medievale sulla gestione delle api e del miele da loro prodotto. Addirittura
si arrivò a scrivere delle regole per disciplinare i contenziosi. Capitava
spesso che i contadini irlandesi, conducendo nei campi le loro greggi,
s’imbattessero in sciami di api a cui davano la caccia con delle reti per
catturarne il maggior numero possibile. Alcuni di loro – riferisce l’Osservatore
Romano - si arricchirono, suscitando forti opposizioni sia tra coloro che erano
rimasti poveri sia tra i ricchi che non volevano rivali. Intervennero allora le
autorità competenti che emisero disposizioni miranti a limitare lo strapotere
dei contadini in materia di api e di miele.
Alcune di queste regole stabilivano che solo una
parte del miele rimaneva appannaggio del contadino, mentre il restante, in
verità più della metà, doveva essere devoluto sia alle autorità laiche del
villaggio, sia a quelle ecclesiastiche. Queste ultime, come si legge in una
delle disposizioni, si sarebbero poi impegnate a distribuire razioni di miele
ai più poveri.
Sin dall’antichità il connubio di api e miele
ha rivestito un’importanza assai rilevante. Ricca anche la simbologia legata
alle api. In ambito cristiano si pensi all’Exultet, il canto liturgico
intonato nella veglia pasquale, che celebra il cero «frutto del lavoro delle
api, simbolo della nuova luce».
Francesco di Sales – riferisce ancora il
giornale della Santa Sede - paragona, nel suo Traité de l’amour de Dieu,
l’anima dell’uomo nel corso della sua vita terrena a un’ape, paragone già
formulato nella Vitis mystica attribuita a san Bernardo. Nel Fisiologo,
poi, celebre testo scritto tra il II e il III secolo dell’era cristiana e
dedicato ad animali, piante e minerali, l’ape, letta in chiave allegorica,
veniva esaltata perché espressione di una virtù somma, ovvero l’operosità. E
Giovanni Crisostomo e, quasi un millennio più tardi, Dante paragonavano le api
addirittura al movimento delle anime beate e degli angeli che collegano il
cielo e la terra.
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