“Tutto è cibo e tutto è sacro”. Lo dice Svamini
Hamsananda, vice presidente della Comunità induista. “Noi non siamo solo la
religione della mucca sacra”. “Quando in India arriva l’ospite – racconta – la
prima offerta è quella dell’acqua per lavarsi i piedi, quindi il cibo, perché
l’ospite è sacro. Acqua e cibo come primo sostentamento. Al primo pasto solido,
il bambino viene portato al tempio dove assaggerà una pallina di riso con sei
sapori diversi. Nell’induismo ogni momento significativo viene accompagnato dal
cibo” e vi è “uno stretto rapporto tra cibo, mente e parola”.
Sul vegetarianesimo chiarisce: “Non tutti gli
induisti lo sono. I pescatori ad esempio mangiano il pesce. Vegetariani per una
scelta etica di non violenza e rispetto dell’altro sono i sacerdoti e i
monaci”.
Per gli induisti “il cibo, nella
preparazione, nei suoi ingredienti, nelle regole di scambio e
consumazione, è investito di un simbolismo sociale e religioso potente e
complesso. Il cibo è sì un atto sociale e culturale, ma anche veicolo di
espressione religiosa o simbolo della speculazione filosofica. Non solo è
essenziale per la vita, ma ne costituisce la materia prima. Il cibo è l'offerta
massima. Si offre in famiglia, agli ospiti, agli esseri, a Dio”, dice ancora la
rappresentante della Comunità induista.
Infine il digiuno: per gli induisti “anahara
è uno dei voti, vrata, che fanno parte della prassi religiosa e che possono
essere legati a un momento prestabilito oppure rivolti all’acquisizione di
ottenimenti spirituali, o ancora all’espiazione di azioni non meritorie. L'uso
più comune del digiuno è praticato, secondo il calendario lunare, in occasione
delle innumerevoli festività”. Il digiuno può essere totale (solo acqua)
o selettivo, laddove ad esempio si evitano i cereali e si assumono soli
particolari legumi e un limitato numero di verdure.
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