“Le regole del mondo kasher sono molto dure.
Già nel momento della macellazione c’è una differenza sostanziale. L’animale
non deve soffrire, perciò la morte deve essere immediata, e bisogna far uscire
tutto il sangue perché ne rappresenta l’anima. Non possiamo mangiare nello
stesso piatto carne e latte insieme perché la carne rappresenta la morte e il
latte la vita, quindi devono essere separati, né possiamo consumare uccelli
rapaci e notturni, molluschi e frutti di mare”. Sandro Di Castro, già
presidente della Comunità ebraica romana, alla giornata di studio “Attorno al
cibo per costruire dialogo, incontro, confronto e pace” a Roma per iniziativa
di Greenaccord, Regione Lazio e Arsial (Agenzia regionale per lo sviluppo e
innovazione dell’agricoltura del Lazio), ha illustrato norme e tradizioni
ebraiche in materia di alimentazione. Lo riferisce il Sir.
“Non possiamo mangiare animali carnivori a
causa del loro istinto aggressivo”, aggiunge. Entrando nel merito delle
tradizioni locali, spiega che la cucina ebraico-romanesca è una cucina povera,
spesso fatta per recuperare avanzi o rendere gustose pietanze umili. Già
gestore di un ristorante nel ghetto, racconta la propria esperienza di incontro
con avventori di tutte le tradizioni, anche con porporati cattolici. “La
rigidezza delle nostre regole – spiega – nasce dalla necessità per l’ebreo di
mantenere il controllo per evitare le orge che spesso seguivano ai pasti in
Grecia e a Babilonia. Poi c’è il mondo della mistica ebraica: sappiamo che la
prima trasgressione dell’uomo ha riguardato un frutto: il Talmud ipotizza che
potessero essere tre frutti diversi. La vera trasgressione non è stato il
mangiare un frutto proibito ma il non avere dato il giusto significato al
cibo”. Il momento dello stare a tavola, conclude, “è un qualcosa di
assolutamente spirituale che non può essere mosso soltanto dal desiderio di
consumare cibo”.
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