Intervento a ‘Il Nostro Pane Quotidiano’
Palazzo Borromeo – 17 aprile 2019
Buon giorno a tutti,
un ringraziamento all’ambasciatore Pietro
Sebastiani e agli organizzatori del convegno per l’invito. Ma un ringraziamento
sento di farlo anche per il titolo che avete voluto dare a questo mio breve
intervento introduttivo: “Anche tra le pentole sta il Signore”. E’ una frase di
Santa Teresa d’Avila che diceva alle sue consorelle chiamate ai lavori più
umili e faticosi come quello nelle cucine. Se volete pregare o avere un dialogo
con Dio – diceva la santa – potete farlo anche tra i fornelli. E per chi crede,
chi ha fede, quella frase oggi risuona come un invito gioioso e rilassante:
potete conquistarvi un pezzo di Cielo anche mentre girate un risotto o
preparate una carbonara. D’altronde questo rapporto tra santità e cibo ha fatto
sì che in Italia si sia mescolato nei secoli il sacro e il profano e che ad
ogni festa comandata, e ad ogni santo, sia abbinabile una ricetta. Pensiamo al
pane di Sant’Antonio a Padova o alle cassatine chiamate ‘minne’ di Sant’Agata a
Catania, o alla torta di San Petronio a Bologna, che è stata offerta anche a
Papa Francesco quando si recò in visita pastorale in questa città. E ancora: le
sfogliatelle di Santa Rosa a Napoli o per restare a Roma i bigné di San
Giuseppe.
Anche per oggi, 17 aprile, una ricetta
‘santa’ l’abbiamo trovata.
Tra i santi della giornata si celebra San
Roberto di Molesme, un santo a dire il vero molto francese, meno conosciuto da
noi.
Nacque intorno al 1024 nella regione chiamata
Champagne – e già questo è un buon indizio – e fu affidato dai genitori alle
cure dei Benedettini di Moutier-la-Celle, dove poi divenne monaco. Eletto poi
abate, in un altro monastero, tentò di riportare quella comunità alla piena
osservanza della regola benedettina. La grande diffusione dell’ordine di San
Benedetto e il fiorire in tutta Europa dei monasteri legati al suo nome aveva
infatti in alcuni luoghi portato ad un arricchimento e anche ad un
deragliamento dalla rigida regola bendettina ‘ora et labora’. A Molesme san
Roberto fondò un monastero che all’inizio, grazie alla sua guida, era molto
ligio ma poi con le abbondanti elemosine divenne ricco come altri monasteri, pensiamo
alla gloriosa storia di Cluny, e anche lì i monaci non volevano più lavorare.
L’abate Roberto decise allora di staccarsi e fondò, insieme ad altri
confratelli e con l’autorizzazione del Papa, l’abbazia di Citeaux dando
vita a quello che, dopo di lui, soprattutto grazie alla figura di San
Bernardo, divenne l’ordine dei Cistercensi.
E allora la ricetta di oggi la leghiamo ai
cistercensi. D’altronde se ora chiedessi – per prima a me stessa – di
quest’ordine famoso e dalla storia millenaria dove sono i monasteri o di che
colore hanno il saio i monaci pochi, o nessuno, saprebbe rispondere. Ma tutti
noi almeno una volta abbiamo assaggiato la loro leggendaria cioccolata, i
liquori, o la birra che è una delle più pregiate al mondo. Le monache
cistercensi poi fanno dolci in tutta Europa. Pensate che in Bretagna c’è un
convento dove le suore producono e vendono per il loro sostentamento e per le
opere di carità 20 tonnellate di biscotti l’anno. In Norvegia realizzano un
formaggio pregiato, in Costa Azzurra un vino ricercatissimo.
Noi restiamo in Italia, e abbiamo scelto come
ricetta del giorno un dolce siciliano, il couscous dolce, realizzato dalle
monache cistercensi di Agrigento. Per due ragioni: la prima è che gli
ingredienti mescolano culture e tradizioni confermando che anche la tavola può
essere un terreno di dialogo e integrazione. Secondo: perché è proprio una
delle classiche ricette ‘ad occhio’, dove il dosaggio degli ingredienti dipende
solo dal gusto personale e in questo contesto ci sembrava più facile.
Ingredienti: couscous (anche precotto); olio
extravergine d’oliva; gocce di cioccolato; pistacchi; zucchero a velo; cannella
in polvere; succo di un’arancia; mandorle tostate pelate
Preparazione: bollire un bicchiere d’acqua
con un paio di cucchiai d’olio; coprire il couscous con l’acqua e con un
coperchio per fare rinvenire, come dicono gli chef, la semola; aggiungere
allora un po’ di succo di arancia. Condire con zucchero a velo, le gocce di
cioccolato, i pistacchi e le mandorle tritate. Spolverizzare con un pizzico di
cannella, mescolare e servire dopo averlo fatto raffreddare.
Tornando infine al tema – “Anche tra le
pentole sta il Signore” – permettetemi due parole di conclusione. Questa frase
mi piace associarla non solo alle tradizioni popolari legate alle feste dei
santi ma anche alla solidarietà che spesso si esprime proprio nella
preparazione di un pasto caldo per chi ha più bisogno. Allora rivesto i miei
panni più comodi, quelli della cronista dell’Ansa, per riferirvi una delle
tante notizie in cui mi imbatto ogni giorno. Nella diocesi di Cucuta, in
Colombia esattamente sulla frontiera con il Venezuela, la Caritas locale da
mesi prepara ogni giorno alcune migliaia di pasti per i venezuelani, come
sappiamo in una difficilissima situazione. Un volontario raccontava che spesso
si presentano al refettorio molte più persone delle già tantissime per le quali
viene preparato il pranzo. Ma – diceva questo volontario della Caritas –
nessuno è mai andato via da qui senza mangiare, quasi si ripetesse l’evangelico
miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ora credere ai miracoli
non è dovuto, neanche per chi ha la fede. Ma nella solidarietà quotidiana che
si ripete ogni giorno – e della quale tra poco sentiremo alcune belle
esperienze – il fatto che qualche volta Dio sembra essere tra le pentole e dare
una mano a preparare a chi fa del bene me lo ha raccontato più di un
volontario.
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