Sostenere i produttori locali attraverso lo
sviluppo di una agricoltura sostenibile e della tradizione. Questo l’obiettivo
del progetto «Dar Callahuanca», messo a punto da Caritas Perú, i cui
responsabili nei giorni scorsi, insieme a una cinquantina di produttori
agricoli, provenienti da alcune località peruviane a nord della capitale, hanno
partecipato al ventiseiesimo «Festival della Chirimoya», che prende il nome da
una delle “coltivazioni perdute” degli Inca. Il Festival – si legge sull’Osservatore
Romano - prende il nome dal delicato frutto della chirimoya, appartenente alla
famiglia delle annonacee, una delle antiche coltivazioni indigene, e quello
della valle di Callahuanca, che si trova sopra i 1750 metri di altitudine, è
considerato tra i migliori siti del Perú. La chirimoya era un frutto prezioso
per le popolazioni Inca, che la coltivavano con grande cura. Dopo il sedicesimo
secolo i suoi semi furono esportati in Spagna e Portogallo, e poi alla fine del
1700 si diffusero in Italia (in Calabria e Sicilia), Egitto e Palestina, per
raggiungere poi il resto del mondo. Mentre oggi la sua coltivazione si realizza
solo su piccola scala ed è quasi totalmente ignorata dalla scienza agricola,
nonostante sia un frutto ricco di zuccheri, prevalentemente glucosio e
fruttosio, minerali come fosforo e potassio, acqua, fibre e vitamine, in
particolare la vitamina c.
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