ECCOCI SU 'SAN BONAVENTURA INFORMA'


“Laudato si’ mi’ Signore”, laudato si’ anche per il cibo, per la tavola con gli amici, per le delizie della natura, per le pietanze preparate con amore, per le pentole che si trasformano in armi di solidarietà. Si può immaginare una preghiera del genere? Forse sì. D’altronde Gesù, duemila anni fa, scelse una festa di matrimonio, una grande tavolata di nozze, per farsi conoscere dall’umanità. E come primo miracolo trasformò l’acqua in vino. Che dire poi della mega-grigliata - 153 “grossi pesci” per otto persone (Gv 21-11)  – preparata da Lui in persona sulle rive del lago di Tiberiade qualche giorno dopo la Resurrezione? Non è peregrino dunque rintracciare una benedizione dall’Alto anche al cibo, al nostro pane quotidiano, specialmente quando è condiviso.
Partendo da qui è nato qualche tempo fa il blog ‘Fratello Cibo’ (fratellocibo.blogspot.com). Mi sembrava allegro accostare alle bellezze citate nel ‘Cantico delle creature’ di san Francesco anche quelle della tavola.
D’altronde Francesco d'Assisi non era un asceta completamente disinteressato al cibo. C’è una certa agiografia che lo vorrebbe distaccato dal mondo e magari anche non attento alla tavola. E invece dalle sue biografie risultano pure le pietanze preferite: cereali, erbe selvatiche, ortaggi, mostaccioli a base di mandorle miele e mosto d'uva, ma anche uova, formaggi, carne di maiale, pollo, pesce bianco o azzurro e pasticcio di gamberi, il suo preferito.
Il cibo compare anche tra le norme della 'Regola non bollata'. "Colui che mangia - indicava ai suoi confratelli Francesco - non disprezzi chi non mangia. E ogni qualvolta sopravvenga la necessità, sia consentito a tutti frati, ovunque si trovino, di servirsi di tutti i cibi che gli uomini possono magiare". A Natale poi
era praticamente vietato fare digiuno: "Voglio che in un giorno come questo - disse un giorno Francesco a frate Morico - anche i muri mangino carne". E se la dispensa era vuota c'era sempre la Provvidenza a intervenire.
Prima di morire chiamò al suo capezzale l’amica romana, Jacopa dei Settesoli. “Ti prego di portarmi quei dolci, che tu eri solita darmi quando mi trovavo malato a Roma”, scrive l’assisiate all’amica. Si trattava dei mostaccioli la cui ricetta si tramanda nei secoli in molti monasteri francescani.
Qualcuno indica poi il santo anche come l’inventore della ricotta: in un libro dedicato ai “Formaggi Italiani” (Mario Vizzardi, Edagricole), si sostiene che la ricotta sia originaria dell’agro romano e che la sua diffusione si debba proprio a San Francesco d’Assisi il quale, trovandosi nel 1223 in una località laziale, dove poi realizzò il primo presepio, Greccio, insegnò ai pastori l’arte di produrre la ricotta. Realtà o leggenda, la ricotta ben si addice allo stile francescano considerato che era considerato un ingrediente povero. E per queste ragioni, per esempio, nel ‘700 il Vaticano ne vietò l’uso ai cuochi e pasticcieri del Papa per renderne più facile l’approvvigionamento da parte di chi poteva permettersi solo la ricotta.
“I Fioretti di San Francesco” riportano poi anche l’episodio in cui sa Francesco e santa Chiara si incontrarono un giorno a tavola, a Santa Maria degli Angeli. Poter mangiare una volta insieme: era questo il desiderio di Chiara, accolto dal poverello d’Assisi. Ma più che il cibo materiale fu quello spirituale protagonista di quella tavola. Tanto che la chiesa sembrava “ardere”, come si legge nelle fonti francescane.
Da Francesco ai suoi frati. L’ordine dei francescani ha anche una storia legata a doppio filo con il vino. Per la Confraternita del Sagrantino la storia di questo vino è legata proprio all’arrivo dei frati a Montefalco, nel 1452, per il Capitolo generale dell’ordine. Come anche il famoso vino della California vide le sue prime viti proprio intorno ai conventi dei frati, giunti in quelle terre come missionari. Avevano piantato loro le prime viti per fare il vino da messa, non sapendo poi che sarebbe diventato, secoli dopo, uno dei più prestigiosi al mondo.
Pane e vino dunque davvero benedetti da Dio. Ma la benedizione è doppia se quel cibo è una mano tesa ai meno fortunati della terra. E in questo i francescani sono sempre stati in prima linea con le loro mense aperte ai poveri in tutto il mondo.
Qualcuno è andato oltre alle semplici mense, mettendo in piedi vere e proprie aziende agricole. Come è accaduto, per esempio, a Rodi. “Quando la crisi economica ha iniziato ad avere ripercussioni sulla Grecia, ricordando gli insegnamenti ecologici di san Francesco e del Papa, non siamo rimasti con le mani in mano. Abbiamo così trasformato una delle nostre aiuole fiorite in un orto”, ha raccontato recentemente fra John Luke Gregory all’Osservatore Romano. “Abbiamo poi chiesto al fabbro di creare due grandi vasche per il compostaggio, e poi, sotto i banani, abbiamo recintato un pezzo di terra e i nostri bravi parrocchiani ci hanno dato quattro galline, un gallo, un’anatra, un tacchino e un’oca. Gli animali si sono ambientati molto presto: le uova che producono bastano, oltre che al nostro fabbisogno, anche per il centro rifugiati che gestiamo e di cui sono il responsabile”. “Con la Laudato si’, Papa Francesco non fa altro che confermare che stiamo andando nella giusta direzione”, ha spiegato il frate.
“Laudato si’ mi’ Signore”, dunque, anche per il cibo.​

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