Le comunità indigene
warao del Venezuela, l’etnia più numerosa del Paese, che vive negli Stati
occidentali e meridionali, lanciano l’allarme sulla loro
situazione di fronte alla pandemia di Covid-19. “I centri sanitari delle
comunità indigene non sono attrezzati per far fronte a eventuali contagi e
neppure ci sono risorse di personale medico e di strumentazioni. In nessuno di
questi centri esistono ambulanze fluviali e terrestri”, si legge in una nota
firmata dalle organizzazioni warao. Difficile anche l’approvvigionamento
alimentare. Nelle zone rurali spesso gli indigeni per procurarsi gli alimenti
sono costretti a muoversi in canoa, “anche con viaggi che durano fino a cinque
giorni”. E nelle zone urbane, senza trasporti pubblici, camminano a piedi anche
per 25 chilometri per arrivare in centro e acquistare gli alimenti. E l’acqua,
attinta direttamente dai fiumi, “è contaminata da mercurio e cianuro
provenienti dalle miniere”. Da qui una serie di richieste alle autorità, tra
cui quelle di “implementare strategie di prevenzione”, di rafforzare i centri
sanitari, di realizzare tamponi agli indigeni che vengono in città in canoa dai
loro villaggi per acquistare alimenti, di garantire i servizi di base alla
popolazione, soprattutto ai molti bambini e anziani “che stanno morendo per
denutrizione”. Le organizzazioni lanciano anche un appello alla Corte
interamericana per i diritti umani (Cidh) e all’Onu: “Abbiamo bisogno di aiuti
umanitari internazionali”, “i nostri bambini muoiono per denutrizione, per
malaria, Aids e tubercolosi, i nostri fiumi si inquinano per l’attività
mineraria, i nostri semi crescono in ambienti contaminati, le istituzioni
educative sono abbandonate, i centri ospedalieri non hanno pasti da offrire ai
pazienti”.
Commenti
Posta un commento